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21 Luglio 2022

Il Club degli Investitori pubblica l’analisi “Unicorni italiani: cosa serve?”

La ricerca nasce con l’obiettivo di comprendere le caratteristiche delle società fondate da imprenditori italiani nel mondo che hanno raggiunto la valutazione di oltre 1 miliardo ed identificare le azioni da intraprendere per favorire la nascita di unicorni in Italia.

21 Luglio 2022, Torino – Spesso si discute se la presenza di unicorni sia la misura della crescita dell’ecosistema dell’innovazione di un paese. Queste aziende non sono solo un esempio di successo e un modello per i giovani founder, ma creano valore economico.

Mediamente un unicorno europeo ha circa 1.000 dipendenti al momento in cui raggiunge la valutazione di 1 miliardo di euro (oggi abbiamo la parità euro\dollaro) e arriva a 2.000 se raggiunge il passo successivo: la quotazione in borsa.

Ogni Venture Capitalist sogna di investire in una startup che diventerà un unicorno. Ma quali sono e quali caratteristiche devono avere gli imprenditori italiani che, insieme ai loro investitori, saranno in grado di raggiungere questi risultati?

Partiamo dal contesto: in Europa ci sono oltre 150 unicorni (nel 2021 erano 132). In testa il Regno Unito con 44 unicorni, a seguire la Germania con 29, la Francia con 25, Svezia e Spagna con 8.

Guardando all’Italia, formalmente è presente un solo un unicorno, Scalapay, e una decina di “soonicorn”, società che stanno per raggiungere la fatidica valutazione. Il divario con altri paesi europei appare evidente se si confronta anche il capitale raccolto. Basti pensare che le startup francesi hanno raccolto oltre 10 miliardi di euro nel solo 2021 e 35 miliardi negli ultimi 10 anni. In Spagna gli investimenti di venture capital hanno superato i 4 miliardi di euro nel 2021, portando la raccolta degli ultimi 10 anni a 10.4 miliardi.

Il 2021 è stato un anno record, se paragonato ai precedenti, per gli investimenti in startup italiane con 1.25 miliardi di euro ma ancora molto inferiore rispetto agli altri paesi campione dell’indagine. Se si guarda al capitale raccolto dal 2011 al 2021, l’Italia non arriva ai 4 miliardi di euro.

Per poter comprendere gli ingredienti base per raggiungere questi traguardi ed identificare le azioni da intraprendere, abbiamo fatto un’analisi specifica di 10 unicorni fondati da imprenditori tech italiani nel mondo: Federico Marchetti, founder di Yoox, Riccardo Zacconi, founder di King, Niccolo Maisto, founder di FaceIT, Augusto Marietti, founder di Kong, Stefano Buono, founder di Advanced Accelerator Applications (AAA), Simon Beckerman, founder di Depop, Simone Mancini, founder di Scalapay, Marco Pescarmona, founder di MutuiOnline, Francesco Simoneschi, founder di Truelayer, e Loris Degioanni, founder di Sysdig.

Inoltre, abbiamo incrociato questi dati con quelli dei 132 unicorni presenti in Europa nel 2021. Si deducono almeno tre elementi che diventano suggerimenti per i founder e gli investitori:

1. Non avere fretta. I tempi medi per diventare unicorni sono 10 anni dalla fondazione della società;

2. Avere una visione strategica e finanziaria globale o quantomeno europea: 9 delle 10 società analizzate operano in mercati internazionali. Gli unicorni europei hanno raccolto mediamente 300 milioni e oltre il 40% dei fondi arriva da investitori oltre il proprio confine o dagli USA;

3. I founder devono avere esperienze pregresse: l’età media di un founder di un unicorno è circa 40 anni e tutto il nostro campione di italiani aveva avuto esperienze o come executive (4 su 10) o aveva già fondato almeno una startup (6 su 10).

Per quanto riguarda i “soonicorn”, abbiamo identificato 16 società fondate da imprenditori italiani che secondo le nostre analisi, integrate con quelle del report “European Unicorn & Soonicorn” di i5invest, potrebbero raggiungere nei prossimi anni il traguardo di unicorno: Satispay, Credimi, Prima Assicurazioni, Soldo, Yolo, Moneyfarm, MMI – Medical Micro Instruments, Genenta Science, Enthera, Newcleo, Roboze, D-Orbit, Musixmatch, Everli, Casavo, Planet Smart City.

Infatti, 5 di queste società hanno già una valutazione di circa 500 milioni di euro e stanno seguendo un positivo trend di crescita. Interessante notare che 5 di loro hanno la sede operativa e legale fuori dall’Italia. Si nota anche che il settore predominante è il fintech/insurtech, con 6 società su 16.

Come possiamo quindi favorire la nascita di campioni italiani del tech nel nostro paese?

In conclusione, abbiamo identificato altri tre suggerimenti per il nostro sistema dell’innovazione:

1. Per gli oltre 200 operatori che operano nel VC: integrarsi e cooperare per aiutare i founder a trovare executive con esperienza per lo scale up e la raccolta di fondi. Per il nostro sistema, 200 operatori sono fin troppi e sarà sempre più necessario un consolidamento per creare soggetti di dimensioni maggiori.

2. Per Cassa Depositi e Prestiti: creare un fondo da 1 bn che possa investire con tagli da 50 milioni in coinvestimento con fondi internazionali.

3. Per il governo (nuovo?..): innovare la legge sulle startup del 2012 per evitare lo spostamento all’estero delle nuove tech company. Infatti, il 30% dei “soonicorn” italiani ha già sede legale fuori dall’ Italia e alcuni pensano che prima o poi dovranno trasferirla all’estero. I punti sono: rivisitazione del diritto di recesso, golden share, certezza del diritto e flessibilità.

Se si lavorerà in questa direzione (e la crescita degli investimenti continuerà ai ritmi di adesso) l’Italia potrà esprimere una quota di 15 unicorni nei prossimi 5 anni (potenzialmente potremmo arrivare ad un unicorno ogni 1.000 startup come la Francia).

Oltretutto, gli italiani sono più efficienti della media europea nel raggiungere lo stato di unicorno: infatti hanno raccolto circa 200 milioni di dollari rispetto alla media europea di 300.

I prossimi 2 anni saranno cruciali per colmare il divario.

Per maggiori dettagli, consigliamo la lettura della ricerca: https://www.clubdeglinvestitori.it/content/uploads/2022/07/20220715_Italian_Unicorn_CDI.pdf

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